mercoledì 15 dicembre 2010

OpenBSD e le backdoor dell'FBI




Un programmatore denuncia: io e altri siamo stati pagati dai federali per inserire canali di intercettazione nascosti nel sistema operativo open source. Realtà o teoria della cospirazione?
Roma - Le backdoor dell'FBI nei software di sicurezza non sono leggende metropolitane, anzi: il bureau investigativo più famoso del mondo avrebbe effettivamente pagato valenti programmatori con lo scopo preciso di instillare "porte di accesso secondarie" all'interno di software open source, con conseguenze ramificatesi nel corso degli anni.

A scatenare una nuova tempesta di cospirazioni governative e legittime preoccupazioni per la riservatezza delle comunicazioni è il coder Gregory Perry, che rivela la presenza delle backdoor federali in una email diretta al capo del progetto OpenBSD Theo de Raadt. Perry dice di essere stato sin qui obbligato al vincolo di segretezza dal non-disclosure agreement (NDA) stretto con l'FBI, ma tale NDA è recentemente scaduto e il programmatore può dunque rivelare la verità a Raadt e alla community dell'open source.




"Volevo rendervi edotti del fatto che l'FBI ha implementato un certo numero di backdoor nei meccanismi di leaking side channel delle chiavi nel framework crittografico di OpenBSD - scrive Perry - con l'intento preciso di monitorare il sistema di cifratura VPN site-to-site implementato da EOUSA, l'organizzazione che controlla l'FBI".Le backdoor volute dall'FBI sarebbero insomma dirette soprattutto al monitoraggio della rete di amministrazione interna delle procure distrettuali, ma Perry suggerisce che le suddette backdoor rappresentino il motivo principale del "consiglio" dell'agenzia di usare OpenBSD per le comunicazioni VPN e il firewalling negli ambienti virtualizzati.

Come risponde il gestore del progetto OpenBSD alle rivelazioni di Gregory Perry? Lavandosene le mani: de Raadt dice di non voler entrare a far parte di una "simile cospirazione", e di non voler avviare alcuna indagine interna atta a scovare il codice nascosto di cui parla il programmatore.

Sarà la community a occuparsi delle opportune verifiche, dice de Raadt, verifiche che non sarebbero umanamente possibili per una singola organizzazione considerando il fatto che il codice incriminato è ora parte integrante di molti progetti e prodotti open source. Se le backdoor esistono realmente, la loro proliferazione avrebbe a questo punto raggiunto un'estensione capillare.


Fonte: punto-informatico 




Stallman: Chrome OS è per gli stupidi

Il fondatore della FSF: "Il cloud computing serve solo a far perdere il controllo sui dati".



A Richard Stallman, il fondatore della Free Software Foundation prossimamente in Italia, il cloud computing non è mai piaciuto.
È quindi abbastanza ovvio che Chrome OS, il sistema operativo che Google sta creando principalmente per i netbook e che porta al massimo il paradigma del cloud computing, non incontri il suo favore.
Stallman spiega, però, anche i motivi di questa contrarietà: "Negli USA si perde ogni diritto legale se si conservano i propri dati sulle macchine di un'azienda anziché sulle proprie".
"La polizia" - continua Stallman - "deve esibire un mandato di perquisizione per ottenere i dati da un privato; ma se i dati sono conservati sul server di un'azienda, il privato potrà non saperne mai niente".
Il fatto che con Chrome OS tutti i dati si spostino sui server di Google non può quindi andare a genio a Stallman il quale, anziché di cloud computing, preferisce parlare di careless computing (computing negligente).
Chrome OS - e tutto il cloud computing - in definitiva è per gli stupidi. "Immagino che molte persone continueranno a migrare verso il careless computing, perché ogni minuto nasce uno stupido. E il governo degli USA potrebbe incoraggiare la gente a mettere i propri dati laddove il governo stesso possa poi sequestrarli senza dover esibire un mandato".
L'unico lato positivo di Chrome OS, secondo Stallman, è che alla base ci sia GNU/Linux. "In sostanza, Chrome OS è il sistema operativo GNU/Linux. Ma è distribuito senza le solite applicazioni e manipolato in maniera tale da scoraggiare l'installazione di applicazioni".

Fonte: zeusnews

CyberWar 4 WikiLeaks



La comunità underground pro Assange si sta mobilitando in suo favore. Sono molti i sostenitori di Wikileakes. È già stato minacciato il Regno Unito di mandare in tilt il sistema, bloccando i siti del governo e segno di protesta.
L’apparato governativo britannico è già in allerta, ma ieri gli hacker hanno già dato segno della propria abilità, mettendo in rete le password di circa 1.3 milioni di utenti del sito di gossip Gawker e continuano a seminare il panico. Amazon, il più grande “dettagliatore” online, ha dichiarato che la sparizione dei suoi siti europei per circa 30 minuti avvenuta domenica è stata causa di un guasto. Considerando che proprio Amazon fu una delle compagnie accusate di aver revocato i propri servizi a Wikileaks subito dopo la pubblicazione dei file USA, il dubbio che sul blackout temporaneo ci fosse la mano degli hacker c’è, e continua ad esserci, anche perché proprio ieri una gruppo anonimo di hacker ha dichiarato di voler attaccare Amazon e di avere come obbiettivo il sito delle autorità giudiziarie svedesi e di altri governi.





“E’ iniziata una guerra informatica – hanno comunicato gli hacker –l’informazione è libera, i governi non hanno voluto divulgare alcune informazioni, Wikileaks le ha rese pubbliche, la guerra è iniziata”.